lunedì 3 gennaio 2011

Giorgio Jannis - Social personal

Partendo da un'osservazione, quelle cose che noti mentre fai dei gesti. Come scambiarsi i dati personali al termine di una riunione di lavoro, o condividere documenti o dei giochi tra amici, in gruppo. 
Faticoso, macchinoso. Perché per farlo usiamo "macchine" vecchie - carta e penna! e la lista dei partecipanti con le mail scritte a mano - oppure cellulari o dispositivi elettronici dove immettere manualmente le informazioni, nomicognomi e numeri e indirizzi. 
Mentre credo dovrebbero essere molto più social, i gingilli connessi personali. Usate il bluetooth, il wifi, la rete telefonica, ma fate in modo che il mio cellulare al premere di un tasto invii a tutti quelli che voglio nel raggio di dieci metri i miei dati personali, quello che io deciderò di trasmettere e mettere in compartecipazione, foto indirizzo URL del blog e LinkedIn e socialcoso preferito. E i dati che ricevo dagli altri già sul mio dispositivo si legano ai miei e tra loro, creando la rete delle cerchie sociali, dandomene rappresentazione in una rubrica aumentata capace di contenere l'albero dei contatti, dove le foglie sono i profili oggidì coloratissimi di suggestioni e tracce, e al contempo in grado di mostrare il giardino tutto delle reti sociali in cui siamo coinvolti, le geografie relazionali, l'intersecarsi dei gruppi sociali di appartenenza, la condivisione dei gusti personali e le scie dei nostri lifestreaming.

Con la potenza di calcolo che la tecnologia informatica offre oggi alla statistica applicata, potrebbero poi venir fuori delle cose interessanti da tutti questi dati che riguardano le profilature degli umani. I comportamenti social del nostro abitare in Rete possono trovare visibilità e rappresentazione, si rende necessario inventare delle parole (o modificare vecchi significati) che siano adeguate al nuovo contesto, dove appaiono degli oggetti e degli atti che prima semplicemente non erano percepibili, un po' come quando era difficile parlare del comportamento delle particelle dei gas, senza aver ancora inventato il linguaggio della termodinamica.
Parlare oggi della Nuvola elettronica in cui abitiamo, dove nascono nuove interpretazioni della socialità, nuove possibilità di azione collettiva, nuovi riconoscimenti identitari di gruppi sociali che individuano sé stessi per affinità tematiche svincolate dalla distanza geografica. O che di converso in quanto rete nervosa dotata di organi di senso - display, sensori, luoghi di socialità iperlocale - ci permetta di percepire dimensioni territoriali prima invisibili, processi e flussi di persone e cose che girano intorno a noi in questo momento, geotaggate e
organizzate dentro narrazioni per render conto del senso dell'abitare, delle parole che pronunciamo vivendo qui e ora in questi territori fisici e digitali.

Esseri umani come router, che reindirizzano il pacchetto dati pertinente alla giusta rete sociale, e questo nostro costruire e scambiare informazione, opinione e conoscenza provvede a rimescolare continuamente il calderone della collettività, nelle cose pensate e nel modo di pensarle. 

Moltiplicare l'efficienza e l'efficacia delle situazioni sociali in presenza, questo sì alzerebbe la fiamma sotto il calderone, velocizzando i processi. Perché nei gruppi si condivide l'opinione, ci si confronta, vengono prese decisioni. Il capannello di persone che chiacchiera è da sempre un Luogo della Conoscenza, dove si formano e circolano i punti di vista sui fatti del mondo.
La fisicità dei corpi salda con più forza le parole ai contesti emozionali, crea sintonie e affettività extraverbali, su cui come umani ci appoggiamo per sostenere relazioni di lunga durata, dar vita a realtà sociali come i matrimoni e le imprese e i governi di cui già concepiamo l'estendersi nel tempo, negli anni a venire.
Scambiarsi il profilo della rubrica premendo un bottone, ma appunto condividere i lifestreaming, e anche moltiplicare gli strumenti di produzione e distribuzione delle informazioni, questo vorrei dai dispositi portatili. Poter registrare l'esperienza, aggiungere contesto ai messaggi, facilitare la collaborazione tra le persone presenti in quella situazione, poter mentre si parla lasciare traccia del dire, e poter tutti insieme al contempo intervenire su quella storia, "modificare il documento", disegnare in tanti sulla stessa lavagna, giocare tutti insieme a un videogioco in 3D e magari partecipare a attività civiche, aumentare la realtà del gruppo supportandola con appunto display e sensori, per potenziarla e cogliere della situazione interpersonale sfumature che altrimenti andrebbero perdute, o che non sarebbero nemmeno percepibili.

Ecco il 2011 cosa potrebbe portare: cellulari o comunque gingilli connessi migliori. Vogliamo tecnologia allo stato dell'arte, con dentro software sociali migliori, dispositivi che costino meno, tariffe di connettività molto più economiche: non si tratta mica di giocattoli futili, qui stiam parlando del progresso della specie umana, della qualità dell'abitare in tutti i luoghi fisici o digitali, degli strumenti con cui tessiamo la socialità, poffarbacco.



Giorgio Jannis è di Udine, in Friuli, in Europa. E' un cittadino digitale, e gli piace occuparsi professionalmente proprio di cittadinanza digitale, di socialità in Rete, di community civiche, progettando reti territoriali aumentate e Luoghi conversazionali online. Presidente dell'Associazione culturale NuoviAbitanti, scrive piccoli saggi qua e là, qua e là conciona e tiene docenze. Trovi tutto partendo da www.jannis.it 

Massimo Melica - In the Beginning was the Command Line

Nel 1999 Neal Stephenson, scrittore di libri di fantascienza ed esperto di tecnologie, ha pubblicato negli Stati Uniti il saggio dal titolo “In the Beginning was the Command Line”, un libro interessante, purtroppo mai tradotto in Italia, nel quale ha riassunto la storia dell’informatica così detta per tutti.

Il periodo focalizzato da Stephenson è quello degli anni settanta, periodo in cui tali Steve Jobs e Steve Wozniak fondarono Apple con l’intento di produrre e vendere computer alle famiglie mentre, Bill Gates e Paul Allen, si spinsero anche più in là, con l’idea di creare Microsoft per vendere "sistemi operativi".

In quegli anni assistiamo ad azioni pioneristiche in cui creatività e innovazione sono mirate – più o meno consapevolmente – sia a gestire qualcosa di intangibile ciò una serie di “zero e uno” scritti su un supporto magnetico sia a commercializzare hardware e software: elementi alla base della digital economy.

Questo è lo scenario, non più vecchio di quarant’anni, appare primordiale agli occhi del fruitore delle odierne applicazioni multifunzionali rese attraverso un device dalle dimensioni ridotte e dal peso esiguo.

Lo spunto di Stephenson mi aiuta a riflettere, per analogismo, su ciò che oggi costituisce l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione e sulle ripercussioni sociali che delineeranno gli scenari futuri.

La Storia dimostra che i diritti si evolvono regolando le condotte sociali, l’economie si modificano sulla base dei mercati, gli Uomini mutano le comunicazioni innescando nuove strategie.

A questo punto Internet, se pur con la sua imprevedibilità, può essere inquadrato come una tecnologia convergente, neutrale, democratica o meglio uno strumento con il quale, attraverso protocolli e standard condivisi, si possono enucleare servizi pubblici e privati come: social network, televisione, cinema, produttività e informazione o semplicemente veicolare qualunque dato di interesse tra due soggetti.

La governance delle attività politiche che porteranno a regolare l’accesso alla Rete e le condotte in Internet, quindi i diritti sottesi, è la sfida che caratterizzerà i prossimi anni nonché la tavolozza con la quale si coloreranno i futuri “scenari digitali”.

La libertà di accesso alla Rete, le libertà e i doveri di cosa o non cosa veicolare non possono essere mediati dal diritto preesistente, occorre analizzare e studiare nuovi dettami normativi che siano – auspicabilmente - condivisi tra gli Stati democratici.

In questo processo siamo tutti chiamati a collaborare, prestando particolare attenzione affinchè la Rete si sviluppi mantenendo quello spirito partecipativo e di condivisione della conoscenza racchiuso nella sua genesi.

Personalmente, forse perché influenzato dall’esperienza professionale, credo che sia demagogico ritenere che Internet debba essere un luogo esente da qualsiasi regolamentazione in quanto non consideriamo l’assunto che: “internet è per tutti, ma non tutti sono per internet” e pertanto occorre, in assenza di un uso responsabile e consapevole, arginare fenomeni criminali.

Il corretto bilanciamento tra libertà e doveri in Internet è la sfida che deve essere necessariamente vinta al fine di garantire la libertà e il futuro culturale delle prossime generazioni, ricordando che il moderno Big Bang “fu, in principio,una linea di comando” con pochi bit ma tanta creatività e innovazione.

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Massimo Melica è avvocato presso lo studio legale “Melica Scandelin & Partners”. Docente di “informatica giuridica” scrive per “ADV Strategie di Comunicazione” e “Pubblicità Italia” occupandosi di diritto e informazione. E’ autore del libro: “Esperienze di diritto applicato alle nuove tecnologie”

domenica 2 gennaio 2011

Davide Bennato - Le relazioni sociali come metadati dei social network

!80325 Il 2010 è stato molto interessante dal punto di vista dei social media.
I social network hanno rafforzato la propria posizione, l’integrazione col mobile si è quasi completamente realizzata, la fruizione di contenuti tramite app di iPhone e iPad dimostra che un nuovo format editoriale è possibile (con buona pace di chi sanciva la morte di internet).

Una domanda legittima: quali sono le conseguenze sul modo con cui ci relazioniamo con gli altri?
Secondo me il 2011 potrà essere rubricato con lo slogan: le relazioni sociali sono i metadati del futuro.

Provo a spiegare meglio il mio punto di vista.

La creazione, la gestione e – perfino – la manutenzione dei rapporti sociali è stata profondamente modificata dall’uso quotidiano dei social network. Affermazione banale che è sotto gli occhi di tutti.
Quello che è ancora più interessante – per un sociologo – è che le relazioni sociali in questi ambienti assumono la forma di un oggetto mediale (o contenuti digitali). Esprimere la vicinanza con una persona attraverso un video, sottolineare la voglia di mantenere un legame (debole) con un hashtag (il famoso #FF del venerdì su Twitter), esprimere il proprio disappunto con una immagine, consigliare ad un collega un link interessante: sono tutte forme che hanno contributo a mediatizzare il rapporto con gli altri. In questo modo la forma che assume la relazionalità nei social media è una sequenza di contenuti multimediali. Non è un caso che video come The Digital Story of the Nativity o A Life on Facebook, raccontano delle storie usando i topoi comunicativi a cui ci hanno abituati i servizi del web 2.0.

A questo punto però nel nostro rapporto con gli altri, non useremo solo la cerchia delle nostre conoscenze per far entrare una persona nella nostra rete di contatti, ma prenderemo spunto anche dall’universo culturale che questa persona condivide con noi. Se un servizio ci suggerisce di diventare contatto di una persona a partire dal numero di “amici” che con essa condividiamo, progressivamente anche libri, film, citazioni preferite, orientamento politico e sessuale diventeranno strumenti attraverso cui creare relazioni digitali.
Similia cum similibus, ricordano gli antichi proverbi.
La cosa interessante è che le basi su cui costruiremo un contatto sociale – di qualunque natura esso sia (collega, amico, amante, conoscente) – saranno sempre più simboliche e sempre meno relazionali. Questo è un paradosso perché siamo sempre stati abituati al contrario: prima si comincia una conversazione generica con uno sconosciuto su un treno, poi si notano punti in comune e solo dopo ci si scambia i contatti per mantenere un rapporto. Nei social network potrebbe avvenire esattamente l’opposto: prima si notano i punti in comune – letture, passioni, interessi – e poi si decide di instaurare un rapporto.

Se questa dinamica dovesse accentuarsi, le tracce che le persone lasciano attraverso i social network, diventeranno delle vere e proprie meta-informazioni. Se io leggo i libri di Wu Ming, ascolto Elio e le storie tese, sono interessato ai problemi dell’ambiente e condivido video di critica al governo cinese, dirò su di me molto di più di quanto potrei fare in una conversazione. Non è nulla di nuovo, è la stessa esperienza che si prova quando ospiti di qualcuno conosciuto da poco ci si fa un’idea del padrone di casa a partire dalla sua collezione di DVD. Quello che cambia è la quantità di informazioni che è possibile raccogliere, un numero tale che diventa sempre più facile per un software – o per una persona – farsi un’idea dettagliata dell’individuo/consumatore di contenuti.

Il passo successivo di questa strategia, potrebbe diventare il social tagging dei nostri contatti. Ovvero uno spazio riservato dei social network in cui è possibile inserire informazioni aggiuntive sui nostri contatti, che si vengono a sommare ai comportamenti di consumo che possiamo desumere dal wall dei nostri amici. Infatti, informazioni del tipo in che occasione abbiamo conosciuto la persona, chi è stato a presentarci, di cosa abbiamo discusso, che impressione ci ha fatto, potrebbero diventare meta-informazioni sulla cui base costruire una rete sociale reputazionale, ovvero una rete in cui i legami sono definiti da metriche relative all’empatia e all’emotività, ma non per questo meno rilevanti. Uno spazio a noi riservato, ma trasparente alla piattaforma che potrebbe perciò decidere di aggiungere a queste anche informazioni già accessibili, come consumi e interessi, per segmentare in maniera molto più efficace i profili presenti sul web.

Non è lontano il momento in cui la piattaforma ci chiederà il rating di caratteristiche come la simpatia, l’affidabilità, la curiosità, il sex appeal di una persona attraverso un sistema di like o stelline o faccine o quant'altro. In questo modo però daremo alla piattaforma un potere immenso: conoscere le caratteristiche sociali e relazionali di una persona attraverso processi di intelligenza collettiva.

La domanda è: vogliamo davvero noi che il software conosca tutto questo di noi?
Bisogna pensare bene alla risposta che diamo perché, parafrasando, potremmo dire che chi di tag ferisce, di tag perisce.

Davide Bennato insegna Sociologia dei Media Digitali all'Università di Catania. I suoi interessi di ricerca sono relativi all'uso relazionale dei social media e al consumo di contenuti digitali. Sempre su questi temi è Direttore di Ricerca presso la Fondazione Luigi Einaudi di Roma. E' inoltre autore del blog tecnoetica.

venerdì 31 dicembre 2010

Paolo Iabichino - Il futuro è tornato

Io lavoro con le parole, mi occupo di pubblicità e sono spesso chiamato a intravedere scenari prossimi e venturi per quanto riguarda un mestiere vieppiù sotto scacco, che molti si ostinano a vedere in via di estinzione. Ma non è il futuro dell'advertising che m'interessa adesso.

Non credo di sapere quale sarà il nuovo media eletto a panacea di tutti i mali. Non ho certezze da esibire e non credo che il mio Invertising possa aiutare in questa circostanza...

Mi piace invece che si torni a parlare di futuro. Quando mi hanno invitato a scrivere per questa iniziativa ho apprezzato che qualcuno ricominciasse a interrogarsi sul domani, perché, senza che ce ne accorgessimo, ce l'hanno scippato silenziosamente. Fino a qualche tempo fa il domani aveva il fascino dell'accadimento, il carisma dell'ignoto. Poi sono arrivati i futurologi, i guru, la cultura digitale che ha accelerato il corso della storia, avvicinandoci repentinamente a tutto quello che incontravamo sui libri di fantascienza o di fantapolitica...

E abbiamo come abdicato a quella splendida desinenza che evoca l'immaginazione. Dov'è finita la letteratura fantascientifica? Chi si ricorda l'ultima volta che ha provato a immaginare il futuro? Perché l'innovazione è finita dentro un Ministero, invece che restare nei paraggi della creatività? Perché le nuove idee si chiamano start up e nessuno ha più il coraggio di veder fallire un'intuizione?

Questo blog mi riconcilia con l'immaginazione, perché leggo autorevoli autori - scusate il bisticcio, ma è cosa rara inciampare su combinazioni di parole così felici - cimentarsi con riflessioni che spostano in avanti di settimane e mesi i propri orizzonti, interrogandosi sugli avvenimenti usando i verbi al futuro e al condizionale.

Il titolo di questo post è preso a prestito dalla campagna a cui sto lavorando in queste ore insieme all'amico Riccardo Luna, direttore di Wired Italia. Lui sta curando una mostra sul futuro che durerà 9 mesi, a Torino, a partire da Marzo 2011. Come può una mostra sul futuro durare nove mesi? Sembra un ossimoro, una contraddizione in termini, eppure è questo che la rende così affascinante e che mi ha fatto scrivere "Il futuro è tornato".

Perché c'è un'intenzione che non è solo culturale, ma è finalmente politica. A riappropriarsi delle tante storie di chi sta provando a ricucire questo Paese. 150 idee, progetti e visioni, come gli anni che nel 2011 celebreranno l'Unità di quest'Italia, appunto, da ricucire. Per chi ancora crede che la politica non sia solo quel rito mefitico che si consuma nei palazzi del governo, ma sia qualcosa di quotidiano che appartiene a ciascuno di noi e che senta forte l'urgenza di interrogarsi sul futuro, anziché ripiegarsi solo e soltanto sul presente.

Il futuro è tornato significa tornare a immaginare il domani di tutti ed essere costretti inesorabilmente a volerlo migliore del nostro presente. Proiettarsi in avanti vuol dire occuparsi del proprio metro quadrato, come disse Marco Paolini in uno splendido monologo dall'Ilva di Taranto, per fare un po' di "manutenzione". Senza occuparsi dei macroscenari planetari, ciascuno nel suo piccolo, migliorando il suo quotidiano a beneficio del futuro di tutti.

Il futuro è tornato mi sembra la migliore visione per fotografare gli scenari digitali del prossimo anno, perché vuol dire salutare di nuovo la fantasia, l'immaginazione e la creatività che ci servono per affrontare i giorni che verranno. Fuori e dentro la Rete.

Paolo Iabichino

Nato nel 1969, è direttore creativo in Ogilvy. 
Docente di un master post laurea di advertising presso la Scuola Politecnica di Design
Paolo Iabichino è anche collaboratore di Nòva24 de Il Sole 24 Ore e autore di Invertising, 
un saggio che analizza le trasformazioni in atto nel mondo dell’advertising.

mercoledì 29 dicembre 2010

Susanna Legrenzi - The Soma Age


Il passaggio dei Dieci? Dalla prospettiva  “ombelicale” di chi scrive ha più o meno coinciso con la conclusione di una lunga, esclusiva parentesi professionale nella carta stampata e il desiderio di "fare" altro. Il mondo corre verso altre direzioni, sbiadiscono i sogni dei vent’anni, frantumate le utopie, resta il sapore dolce/amaro di una sorta di allucinogeno. Quel genio (belga e) folle di Carsten Holler, c/o Hamburger Bahnhof di Berlino proprio sul volgere dell’anno, l’ha chiamato Soma. Soma è la leggendaria bevanda dei nomadi Vedici che, nel secondo millennio a C, migrano dalla Siberia all’India. Se ragionassimo per visioni potremmo immaginare Soma Vs Rete. La migrazione è ancora in atto e i contorni, tra Nord e Sud del Mondo, punti di partenza e approdi, non sono meglio definiti. Holler ha chiuso in un recinto un numero x di renne; noi, che usufruiamo sempre meno dell'esperienza retinica diretta, alla fine un po' gli assomigliamo, stretti tra il mondo e un “riassunto del” che qualcuno continua a fare per noi. Visto in questa chiave, il Digital divide non è solo un’urgenza socio-culturale o una questione di sopravvivenza professionale che (ci) obbliga a riparametrare obiettivi e aspettative senza avere orizzonti certi. Digital Divide è quasi una “stanza di compensazione”. I nativi digitali hanno un’altra età (anagrafica) e una costruzione completamente diversa dei “saperi”: la metrica da verticale è diventata orizzontale, etc etc... Non occorrono i numeri del sorpasso dei social Vs www, basta l’osservatorio privilegiato di una docenza post-liceale per scoprire che la Internet non è la Babele di informazioni che speravamo ma un grande bar-sport dove - se prima non impari a cercare Dickens negli scaffali di casa (o della biblioteca di quartiere) - non troverai mai nulla (di buono?) per il semplice fatto che non vuoi (sai) cercare. Meglio, peggio, chissà? Se ieri la sete di conoscenza rispondeva a un unico motore - la domanda di curiosità (+ salvifica cultura del dubbio) - oggi c’è Google con tutta la sua potenza muscolare ma mancano, forse, nuove keywords per esplorare il presente e interrogare il futuro. Siamo tutti (dove il tutti sta per noi-40enni-più-1-meno-1) cresciuti credendo che il mondo avesse pochi confini, fosse globale, raggiungibile in un clic. Era ed è vero. O forse no. Nell'Italia della rete lenta e per pochi - in attesa che diventi per tutti - nella stagione di passaggio tra i Dieci e il Venti, se apri una srl, senza aver vinto un win-for-life o incantato un incubatore generoso, scopri facilmente che la grande crisi della finanza internazionale impone di pensare con scale prossime al chilometro zero ed economie da homo faber che mirano all'(auto)sussistenza. Il 2011? Non credo porterà chiarezza. Semmai aggiungerà complessità. Lo scenario è approssimativo come approssimativo è il mondo. La rete né in qualche modo uno specchio distonico dove alto/basso, vero/verosimile convivono, a volte confondendosi. Se torno a pensare in termini d’informazione, il “Soma” del momento è una sorta di paradosso. C’era una volta il giornalismo; poi è arrivata la pubblicità e con la pubblicità il marketing... L’universo dell'open source al momento non sostituisce in termini di redditività né l’una, né l’altro. Non so se i giornali di carta sopravviveranno. La questione - trascurando il piacere personale dello sfoglio - mi appassiona poco. Non mi interessa il media, mi interessano processo, metodo e contenuti. La carta li ha sempre (più o meno) remunerati, il web per ora è solo una promessa. In questa prospettiva, Citizien journalism sarà journalism solo quando produrrà reddito per chi lo pratica. E le recenti diatribe all'HuffPo sembrano confermarlo. Se procedessimo ancora per paradossi per un Assange che dovrà scrivere un’autobiografia per “sostenere” Wikileaks (cause connesse a...) c’era un Buzzati che scriveva di Deserti e Tartari con un editore che pensava al resto. Certo, altri tempi, altro secolo... L’allucinogeno non ha ancora esaurito il suo effetto. Affidare l’informazione allo logica di una rete affidata agli asdsense e alla micro-parcellizazione della professione non credo porterà comunque lontani. Dalla Siberia all'India, il viaggio è lungo. Nel mio piccolo, per ora ho solo deciso di mettermi in marcia. Il resto, come si diceva una volta, è un grande boh. La sfida (forse) è imparare a conviverci.

Susanna Legrenzi vive e lavora a Milano. Giornalista professionista, 42 anni, laurea in legge, negli ultimi 13 anni ha lavorato a Io donna/Corriere delle Sera come caporedattore arte e design. Da circa 18 mesi è free lance per scelta. Quando non scrive per la carta stampata, cura big ben zine, insegna in Naba a Milano, organizza mostre di design, segue jpeggy, si fa molte domande (dandosi poche risposte certe).

domenica 26 dicembre 2010

Elisabetta Gola – Didatticamente modificati: cyberprof, cyberlearners, cyberschools

Lo aspettiamo ormai da diversi anni. Chissà se il 2011 sarà quello buono. Cosa aspettiamo? Che chi si occupa della formazione di migliaia di giovani menti risalga finalmente la china del digital divide e li raggiunga per riuscire a parlare con loro. E non solo per parlare di tecnologia, ma di tutto.

La tecnologia, da quando nel 400 a.C. circa veniva chiamata tékne, ha sempre avuto una storia di rapporti complicati con la teoria (e anche con la pratica). Il digital divide è solo una riedizione contemporanea di un vecchio problema. Per tornare a tempi più recenti, prima del digital divide c’erano le due culture (quella umanistica e quella scientifica): questi due sdoppiamenti, tra loro legati, sono entrambi pericolosi, perché nel tentativo di salvare una realtà a scapito dell’altra di solito diminuiscono le possibilità di sopravvivenza di entrambe.
Questa premessa per dire che, nella sovrabbondanza di canali di comunicazione e di notizie a disposizione, quello che manca davvero è la capacità di gestirle entrambe. Quello che spero accada nel panorama tecnologico del 2011 e che aumentino i prof. 2.0, una tecnologia naturale di base altamente sofisticata ma che può migliorare tantissimo il modello originale grazie ad un upgrade anche minimo nelle possibilità di uso di internet, webcam, forum, software per la predisposizione di audiovisivi e materiali didattici, ebook e -per i modelli più avanzati- ambienti virtuali, serious game, realtà aumentata.
Questi strumenti sono già abbondantemente integrati nei sistemi digitali che accompagnano le nostre vite quotidiane, mentre tenerli lontani dalle scuole è considerato un obiettivo da perseguire a tutti i costi a salvaguardia della nostra cultura. L’effetto collaterale negativo di questo atteggiamento ideologico si ritorce sull’obiettivo cercato, rappresentando un impoverimento delle possibilità di diffusione della cultura stessa e di quell’atteggiamento di ricerca che dovrebbe invece permearci tutti quando cerchiamo di comprendere e comunicare la ‘realtà’. Poiché la conoscenza oggi passa in grandissima parte attraverso la comunicazione via web, non poterne fruire diventa una nuova forma di discriminazione, consolidata da chi si fa scudo dietro l’alibi del non-volere-contaminazioni-della-cultura-con-la-tecnica.L’esito che abbiamo sotto gli occhi è che sinora, nell'ambito della formazione, si sono impossessati della tecnologia solo coloro che prevedono in questo settore forti possibilità di sviluppo in termini di mercato. Mentre la maggioranza delle istituzioni della formazione utilizza linguaggi e strumenti inadeguati.
Chi in didattica ha percorso strade diverse ed è ricorso alla tecnologia e all’innovazione, ha portato in auge volta per volta blog, slides, forum, laboratori (spesso da guardare ma non toccare), e più recentemente piattaforme come moodle, file podcast, reti social media.
Cosa potrebbe offrirci di nuovo o di diverso il 2011? La mia previsione è che, in ambito scolastico, spinti da una mera illusione cognitiva, si diffonderanno le "LIM", lavagne multimediali interattive, computer dalla forma di lavagna, ma con la stessa complessità di un normale computer. La mia paura è che tale diffusione si limiti all’introduzione di un nuovo ‘oggetto’ in classe, che potrebbe –per ammissione degli stessi ideatori delle LIM- trasformarsi in un supporto di cartelloni e post-it. Per questo il prof. 2.0 è indispensabile!
L’auspicio è che qualunque strumento hardware si adotti, si diffonda nella pratica un ricorso intelligente a internet e alle videoconferenze, magari -ma questa suona proprio come una richiesta allo spirito del Natale- tramite un sistema integrato hardware e software a basso costo, cognitivamente ergonomico, che faciliti la vita a tutti gli studenti e insegnanti del mondo: potersi rivolgere direttamente a un esperto, creare reti di persone portatrici di conoscenze di alto livello, mediati da insegnanti-tutor che siano capaci di muoversi in tele rete e far vivere l’aula. Questo consentirebbe di condividere le conoscenze di alto livello degli specialisti, ridurre l’inevitabile decadimento che l’informazione subisce viaggiando sui canali tradizionali per le troppe mediazioni tra mittente e destinatario.
Diversamente da altri strumenti asincroni, come i materiali multimediali preconfezionati, la videoconferenza salvaguarda il contatto e sincronizza i tempi di produzione e ascolto, facilitando la comprensione. Diversamente da altri strumenti interattivi, come quelli che fanno uso principalmente della scrittura, consente la trasmissione di un contenuto denso, carico del potere espressivo della comunicazione parlata. Consente di aumentare le competenze linguistiche, abbattendo le distanze che impediscono l’avvicinamento di comunità di studio appartenenti a diverse popolazioni e a diverse culture.
Sarà l’esperienza di lavoro e di vita maturata in un’isola, che nel 2011 dovrebbe avviare per tutte le scuole della Sardegna il progetto Scuola digitale, ma mi auguro che un uso e un investimento corretto nella tecnologia possa portare alla riduzione delle distanze tra centro e periferia, in una scuola d’eccellenza per tutti gli interessati.

Elisabetta Gola è presidente del corso di laurea in Scienze della comunicazione, erogato online dall'università degli studi di Cagliari, dove insegna Teoria dei linguaggi e della comunicazione. I suoi interessi di ricerca vertono sull'intelligenza artificiale applicata al linguaggio, con una predilezione per gli usi non letterali, e più recentemente le sue riflessioni sono approdate a considerare l'impatto delle tecnologie nell'apprendimento.

venerdì 17 dicembre 2010

Layla Pavone - L'anno che precede la fine del mondo e della pubblicita' cosi' come l'abbiamo pensata da sempre

Sara' un anno, il 2011, che ricorderemo? O la tanto preannunciata fine del mondo ci impedira' di archiviare la memoria di quello che, io credo, sara' uno degli anni piu' interessanti nella storia della comunicazione ed in particolare della pubblicita'?
Comunque vada, contando anche sulle rassicurazioni della Nasa che smentisce scientificamente le previsioni nefaste del popolo Maya :-), il prossimo anno sara' certamente costellato da ulteriori innovazioni oltre che dal consolidamento di alcuni fenomeni che stanno rivoluzionando il mondo della comunicazione, ma prima ancora naturalmente della societa'.
Dopo circa 15 anni dall'avvento di Internet in Italia (nel senso di strumento di informazione, relazione e comunicazione di massa) e nonostante gli ostacoli relativi alla mancanza di investimenti in infrastruttura tecnologica e piu' in generale nell'innovazione, le aziende utilizzeranno l'online come la prima piattaforma di comunicazione attorno alla quale far ruotare tutti i processi aziendali. La grande rivoluzione sara' proprio la tecnologia che, quando si parla di marketing e advertising non e' un concetto cosi' banale. Chiedo scusa a coloro i quali masticano tecnologia tutti i giorni poiche' potrebbero davvero giudicare scontato il mio pensiero ma, essendo una "figura ponte" da questo punto di vista (sono "un'internettara" ma anche una "pubblicitaria", avendo avuto la fortuna di essere avanguardia della contaminazione attuale che, pero', 15 anni fa -credetemi- mi faceva passare per un'illusa visionaria) posso serenamente sostenere come la business technology sia stata, fino a non molto tempo fa, quanto di piu' distante per molti marketing manager.
La frammentazione delle audience e la moltiplicazione dell'offerta di contenuti multimediali ha rimesso completamente in discussione 50 anni di regole e paradigmi che, seppur condivisi dall'industria pubblicitaria, nel corso degli ultimi anni si erano allontanati dai reali bisogni dei consumatori diventando obsoleti e sempre meno efficaci.
La tecnologia rivoluzionera' sia la pianificazione pubblicitaria ovvero il media sia la creativita'. L'utilizzo degli algoritmi sara' la base di partenza nei prossimi anni per le pianificazioni online ed anche offline (ovvero su quei mezzi tradizionali che via via si stanno digitalizzando) per poter raggiungere le audience in logica "behavioral" e "re-targeting". Il 2011 sara' l'anno del vero kick-off.
Senza nulla togliere alle ricerche su base campionaria ed anche quelle su base censuaria (vedi Audiweb)che indubbiamente hanno contribuito a rendere piu' confidentigli investitori pubblicitari nelle loro decisioni di inserire internet nel media-mix, sempre piu' all'orizzonte intravedo un futuro che consentira' di intercettare e coinvolgere gli utenti online, gli individui,non tanto per i comportamenti online dichiarati, attraverso le indagini CAPI o CATI, o registrati attraverso i meter, quanto per quelli che in tempo reale verranno tracciati e analizzati dai software, attraverso i cookie, strumento basilare per offrire un'advertising sempre piu' rilevante e coerente rispetto ai comportamenti e a bisogni degli utenti.
Stringhe di testo, codici, dati che vengono registrati e analizzati dai software di pianificazione saranno determinanti per poter offrire messaggi pubblicitari "customizzati" e, presumibilmente, graditi agli utenti e per ricontattarli con precisione nel tempo con offerte su misura.
Tutto questo grazie anche ad una rinnovata capacita' di fare creativita' online che necessariamente dovra' essere "empowered by technology".
Anche il ruolo delle agenzie quindi via via cambiera' ed anche delle relative figure professionali che saranno sempre piu' connotate da una parte da competenze matematico-statistiche e dall'altra umanistico-psicologiche e artistiche.
Dall'altra parte i social-media hanno anch'essi rivoluzionato e sempre piu' rivoluzioneranno il marketing e l'advertising rimettendo in discussione il valore delle marche, e dei prodotti, ormai determinato e condizionato dalle conversazioni fra le persone, restituendo un valore concreto al concetto di "time to market". Gia' oggi conta molto di piu' un giudizio negativo di qualche utente "influencer" postato su un social-network e "viralizzato" dai suoi amici in tempo reale che 800 Grps's televisivi quotidiani. Domani le scelte di marketing saranno guidate dalla capacita' di ascoltare i bisogni ed i sogni degli individui che ne determineranno le strategie. Una "supply chain up side down" che influenzera' totalmente le scelte di produzione di beni e servizi delle aziende. Un'economia basata non tanto sulla persuasione delle aziende nei confronti dei consumatori per indurli all'acquisto di determinati prodotti e servizi quanto sulla dissuasione da parte dei consumatori nei confronti delle aziende a produrre beni materiali e immateriali che non siano il frutto delle loro scelte consapevoli e condivise.