sabato 15 gennaio 2011

Roberto Scano - Vedo, prevedo, e mi sbaglio...

"Prevedere è meglio che curare". Consentitemi questa "variante" ad una frase d'effetto che viene sempre citata nelle pubblicità di tipo medico-sanitario con un semplice obiettivo: invitare le persone a prendere cura di se stessi per non dover intervenire successivamente con terapie maggiormente invasive. Spesso quindi basta poco per garantire la "felicità".
Qualcuno si chiederà cosa c'azzecca questa premessa con gli "Scenari Digiali 2011". Per ragionare del 2011, ovvero per "curare" l'evoluzione della comunicazione e l'uso delle nuove tecnologie, è necessario guardarsi indietro ed analizzare cosa era stato previsto. Era stato previsto il boom di social network alternativi a facebook, perchè facebook è troppo generalista: la previsione è stata smentita e ad oggi Facebook è in costante crescita e grazie ad accordi con partner d'eccellenza (tra cui Microsoft per il motore di ricerca Bing) potrà garantire nuove sorprese nel corso di quest'anno. Era stata sancita la morte di skype a favore del voip "diretto": ad oggi non ho notato tale preannunciato sorpasso, ma si nota sempre più l'espansione di skype che di recente ha acquisito servizi per il miglioramento delle comunicazioni video.
In ambito mobile, era considerato impossibile superare nelle vendite iphone: il mercato reale sta dimostrando una maggiore diffusione delle soluzioni basate su google Android. Sempre nel 2010 si era parlato del nobel ad Internet, bolla (mediatica) andata in fumo in poco tempo.
Ora si sente parlare di "banda larga", di "wi-fi libero" con l'idea che le "battaglie" per la loro diffusione possano garantire la crescita della cultura digitale, delle opportunità di business, del "paese Italia". Ma se andiamo a vedere i dati, ci rendiamo conto che siamo uno dei primi paesi al mondo per l'uso dei social network (siamo secondi solo al Brasile), abbiamo un numero di cellulari pro-capite da far invidia a paesi con PIL altamente superiore al nostro, abbiamo banda larga disponibile in gran parte del paese (meno dove magari realmente serve...).
Che evoluzione ulteriore può avere quindi l'apertura di wi-fi o la fornitura di moltissima banda se mancano le idee per inserirli nel ciclo dell'economia? Che senso ha ad esempio avere aziende ad alta innovazione se non sono conosciute e/o se i loro prodotti non raggiungono il target previsto in quanto non hanno al loro interno figure che sanno usare nuove forme di comunicazione? La sfida del 2011 a mio avviso deve essere l'alfabetizzazione aziendale all'uso delle nuove tecnologie di comunicazione in rete, il coinvolgimento di persone con reale esperienza sul campo (persone che possono dimostrare nei fatti, con case history, la reale crescita di aziende/prodotti grazie al loro lavoro).
Non è quindi importante chi emergerà, chi galleggerà e chi sparirà: l'importante è che cominci ad esser chiaro che le tecnologie ci sono, le case history pure e che pertanto è inutile affidarsi ai miraggi e/o attendere azioni di terzi per innovare i processi di comunicazione in azienda. Ma, consentitemi, non solo aziendali: siamo una società che si basa su servizi e mi aspetterei un 2011 in cui anche le PA si riorganizzano per erogare servizi tramite i nuovi canali di comunicazione, supportati anche dalla recente riforma del Codice dell'Amministrazione Digitale).

domenica 9 gennaio 2011

Roberto Cipollini - L'anno delle applicazioni e dei giovani imprenditori

Il 2011 sarà un anno ricco di applicazioni. Più di quanto lo sia stato il 2010.
Siamo bombardati di continuo da notizie, statuses, feeds, foto, video e tantissime altre informazioni. C'è un overlaod di fatti, contenuti ed informazioni. Sono le applicazioni.

Il 2011 segnerà la comparsa (e scomparsa) di tantissime nuove applicazioni tramite cui queste informazioni girano nella rete. E gli artefici di questo scenario sono giovani imprenditori, visionari, sognatori o solamente ferengi, che dedicheranno il loro tempo a realizzare un’altra application killer, quella che farà il botto e raggiungerà la fantasmagorica soglia del triliardo di utenti in una settimana (il sogno erotico di ogni vero nerd :).

Se qualcuno mi chiede verso cosa ci porta questa evoluzione, la mia risposta è che dipende tutto dall'ampiezza con cui ciascuno di noi riesce a guardare lo scorrere dell'era digitale, dell'evolversi del presente. Più ampia è la visuale, maggiore sono gli elementi che ci permettono di capire quello che succede intorno a noi. Identificare i dettagli poi è tutt'altra storia. Quello che vedo è un mondo ancora da scoprire, con opportunità di crescita, di sviluppo, di successi e di fallimenti. Siamo all'inizio di un'era che possiamo solo immaginare e ciò che a noi sembra innovazione o "era moderna" è già passato per i nostri figli. Chi di noi, un anno fa, avrebbe mai immaginato di poter giocare a tennis davanti alla tv senza una finta racchetta o un pad? Oggi questo è realtà, ma siamo ancora agli inizi. Da questa piccola (in relazione alle sue potenzialità future) innovazione tecnologica (il kinect per intenderci) si possono costruire inimmaginabili usi tramite applicazioni ancora da sviluppare (e in poche settimane si sono già visti alcuni hacking che promettono sviluppi interessanti). Quello che vedo è una crescente voglia di creare innovazione (non è così facile in italia, purtroppo, per un contesto imprenditoriale troppo sedentario e poco inclino alla ventura) e sono pochi quelli che ci riescono davvero (a costo di compromessi e sacrifici enormi).

Ciò che sarà sempre più importante è la mobilità e la capacità di creare contenuti ed applicazioni per fruirli (in mobilità, s'intende). Maggiore è velocità con cui queste applicazioni vedranno la luce, maggiore sarà l'interazione e la partecipazione degli utenti nel generare ulteriore domanda per altre applicazioni. Questa è un'opportunità d'oro per chi saprà cogliere quelle nuove necessità e raccogliere le risorse per realizzarle prima degli altri.

Sono una indigeno digitale iperconesso (sempre, ad ogni ora del giorno, ogni giorno dell'anno), e questo mi da un'elevata facilità di accesso a contenuti, dati e notizie (intese come cambiamenti nel contesto in cui ci muoviamo). Viviamo circondati da informazioni (la prossima moneta dell'era digitale) provenienti da diverse fonti, ma soprattutto dal basso, dal nostro stesso network a cui siamo connessi, che funziona come veicolo per altre informazioni, creando ridondanza e sovraccarico, da cui si attinge e condividiamo nuovamente come peer di un più ampio network in cui esistiamo. Questo è il mio mondo, la mia esistenza, sono un essere digitale e lo faccio tramite le applicazioni che uso. Io sono parte della domanda che genera la necessità di sviluppare altre applicazioni.

Nel 2011 continueremo a far la conta di quanti decimi di punto percentuale quel sistema operativo ha guadagnato sull'altro (Android vs iOS o viceversa), o quante tablet sono state vendute al posto di un netbook o all’espansione di quello o dell'altro mercato. Il 2011 sarà un anno in cui i giovani con la mente fresca potranno creare nuove applicazioni per tablet e smartphones, per nuovi supporti e mercati emergenti. Loro, i giovani imprenditori, sono il vero valore della nostra era digitale. E' qui che batte il cuore della futura tecnologia. Sono loro quelli che creano movimento e danno a noi gli strumenti per poter usare applicazioni e condividere sempre più informazioni e contenuti con altri indigeni digitali. Loro ci danno la possibilità di pubblicare posts e status sui nostri wall ovunque siamo, possiamo fare il checkin di qui, tweettare di la, guardare quel video e condividerlo con centinaia di persone che non abbiamo mai visto. Questo è il futuro per il 2011 ed oltre. Ma ci saranno anche crescenti preoccupazioni sulla propria privacy, sulle informazioni che noi decidiamo di condividere, sulla velocità con cui diciamo agli altri dove siamo, cosa facciamo, chi siamo.
Noi siamo le informazioni che lasciamo sui social networks (mi verrebbe da dire "Networking Ergo Sum"). Siamo identificati con i nostri avatars, i nostri aggiornamenti, le foto delle nostre ferie. Usiamo applicazioni per dire chi siamo, che lavoro facciamo e lo stiamo facendo così velocemente che non sempre ci fermiamo a valutare dove stiamo realmente andando. Abbiamo aperto le nostre case, le nostre vite, la nostra professionalità ad aziende private (facebook, twitter, foursquare, ecc..) a cui diamo continue informazioni su cosa facciamo, cosa ci piace mangiare e quali sono le nostre abitudini. Tutto questo ha un enorme valore economico, strettamente legato al rapporto tra utente ed applicazione, tra consumatore ed azienda.

Tutte queste applicazioni ruotano intorno al concetto di massima condivisione sul network cloud, di massima visibilità e distribuzione tramite altre applicazioni interconnesse con API e sharing links. La spreadability è il fulcro su cui la comunicazione digitale sta giocando con gli utenti. Gli early adopters (che non sono un gusto esotico di thè) sono il primary target delle nuove applicazioni, la loro launch tower, da cui il messaggio deve diffondersi. Ancora oggi però molti gruppi industriali (miopi e sedentari) non hanno capito che il messaggio non è loro, ma degli utenti e che il controllo della comunicazione non è più affare loro, ma degli utenti, tramite le applicazioni, appunto. Facebook e Twitter hanno cambiato il modo di comunicare tra aziende ed utente, anzi tra utente ed azienda (a volte con imbarazzanti casi di realtà che non hanno ancora capito che essere solo su Facebook non farà loro aumentare il numero di clienti o il fatturato trimestrale).

La disponibilità di applicazioni (con i rispettivi stores online) e la possibilità di installarle a piacere sui nostri dispositivi definiranno il trend del mercato digitale nel 2011. Tablets e smartphones saranno i principali strumenti usati per usare queste applicazioni. Lo sviluppo dei device ha innescato questo crescente interesse sulle applicazioni (consideriamo che la maggioranza delle foto caricate su Flickr sono scattate con un iPhone - e questo anche grazie alla disponibilità di applicazioni per farlo). La capacità di raccogliere le risorse per sviluppare nuove applicazioni sarà uno dei vantaggi competitivi tra il successo e il fallimento di un'idea. Il 2011 sarà un anno interessante. E spero sia anche un altro anno stimolante e divertente per chi, come me, prova a farne parte.

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Roberto Cipollini è imprenditore e startupper, è titolare della All Media Solutions, società specializzata in progetti web 2.0 e soluzioni di change management per l'application lifecycle. E' founder di Smappo, un event management network per la condivisione e gestione degli eventi online tramite i Virtual Tickets.

mercoledì 5 gennaio 2011

Gino Tocchetti – Verso una piramide piu' alta di quella di Maslow

Prevedere cosa succedera' nel 2011 e' un po' come fare l'oroscopo: o perche' si scrivono scontate banalita', o perche' si azzarda uno scenario che sara' presto verificato, la propria reputazione potrebbe rapidamente portarsi ai livelli del mago Otelma.

Il mio pensiero quindi non si limita al 2011, e non formula tanto una previsione quanto un auspicio. E dal momento che viviamo in un mondo fortemente interconnesso, non mi concentrero' solo sul settore delle tecnologie digitali: in contraddizione con coloro che credono che l'innovazione sia dettata dalla tecnologia, cerchero' di riconoscere trend economici e sociali piu' generali, e di utilizzare l'emergenza di nuove tecnologie come verifica di quei trend. Faro' quindi riferimento ad una nuova tipologia di "bisogni ecosistemici", che Maslow aveva semplicemente escluso terminando la sua piramide al quinto livello, perche' a quel tempo non c'era sufficiente diffusione di ricchezza, la maggioranza non aveva ancora potuto scalare i primi gradini della piramide, e gli equilibri mondiali erano decisi esclusivamente nelle stanze dei bottoni. Solo oggi questi nuovi bisogni stanno emergendo, e possono e dovranno essere posti a motore dell'economia prossima futura.

Con riferimento alle tecnologie, questi bisogni emergenti hanno determinato il successo delle tecnologie "social" in questi anni, e nell'immediato futuro saranno la spinta per una sempre maggiore diffusione delle tecnologie per l'interconnessione di ecosistemi territoriali, ad incominciare dall'"internet delle cose". Il trend dovrebbe essere: "real life vs internet" > "life streaming on internet" > "living in augmented reality" > new eco living using internet as one of the supporting technologies.

Mi spiego meglio. Che ci sia un radicale cambio di civilta' in atto, qui in occidente, e' indubbio, tant'e' che ancora usiamo l'espressione "post industriale", perche' evidentemente sappiamo solo esprimerci su cosa non c'e' piu'. L'equilibrio precedente dipendeva dalla compresenza nello stesso territorio di un livello minimo di capitale, impianti produttivi e consumatori: quando la produzione ha iniziato ad essere pesantemente delocalizzata, e la crescita delle multinazionali ha trasferito il centro di comando in un iperuranio sovranazionale, sappiamo bene che il meccanismo si e' rotto. Concentrazione, consumo, e individuo sono schemi mentali in declino.

L'avvento dell'"economia della conoscenza", o di altri asset immateriali (dalla capacita' di innovazione alla capacita' di relazione con il crowd), non ha portato ad una nuova fase economica, come il termine suggeriva equivocamente, perche' non puo' esserci una nuova economia di mercato centrata sulla conoscenza, pur essendo la conoscenza fattore chiave in qualunque economia emergente. Siamo infatti convinti che lo sviluppo e l'utilizzo di conoscenza, che l'intelligenza collettiva, che la forza della rete non possano esprimere il proprio potenziale al massimo se non a condizione di essere preservati dalle implicazioni economiche e dalle logiche di business.

Dunque quale modello economico e sociale possiamo augurarci di vedere emergere (qui in occidente, in europa, in italia), a partire dal 2011, almeno a parziale integrazione del precedente, i cui prodromi sono gia' in qualche modo riconoscibili? Un sistema economico profondamente diverso, dove sono indirizzati bisogni della collettivita' prima che individuali (fabbisogno di energie pulite, salvaguardia dell'ambiente, servizi sociali in tutti i campi dalla sanita' alla sicurezza, momenti di socializzazione...). Bisogni che Maslow non aveva previsto, troncando la propria piramide al quinto livello, ancora basato sul "self".

Bisogni che essendo quindi "tipicamente territoriali" non possono che essere realizzati (completati) ed erogati "in loco", garantendo un maggiore equilibrio economico a livello locale. Infatti l'adattamento al contesto locale renderebbe inevitabile l'impiego di competenze e componenti autoctone, sarebbero necessari produttori di componenti e adattaori, e installatori e manutentori, esperti di usi e culture territoriali, tutti rigorosamente "locali". A questi bisogni, infatti, corrisponderebbero nuovi "servizi ecosistemici", e non solo quelli relativi agli ecosistemi ambientali anche se probabilmente analizzabili con analogo approccio. Questi servizi sarebbero resi disponibili da un comparto economico comprendente un indotto di proporzioni potenzialmente gigantesche, e darebbero vita veramente ad una nuova economia, un'"economia di ecosistema".

Naturalmente le tecnologie utilizzate e le metodologie consolidate possono (e devono) essere sviluppate grazie all'intelligenza collettiva globale e all'eccellenza di paesi tecnologicamente avanzati, i quali potrebbero adottare una logica produttiva industriale per l'hardware, e di tipo "opensource" per il software (per esempio l'energia da correnti marine dai paesi baltici, il fotovoltaico di nuova generazione americano, la bioingegneria italiana, i nanomateriali tedeschi, l'elettronica di consumo asiatica, e far girare tutto sul cloud e con l'opensource prodotto in rete...), garantendo contemporaneamente un basso livello dei prezzi dei componenti di primo livello, e possibilita' di investimento in ricerca per le infrastrutture.

E per quanto riguarda gli scenari digitali? la tecnologia utilizzata sara' profondamente cablata nel territorio, e contemporaneamente connessa in rete. Sappiamo che le tecnologie digitali hanno abilitato da tempo lo sviluppo della dimensione del "noi", della relazione, della condivisione, e che dal virtuale si stanno spostando nel reale e locale. Se questa e' la direzione, allora esploderanno presto tutte le tecnologie che vanno oggi sotto il nome di "internet delle cose", e che stanno gia' rendendo possibili radicali trasformazioni di settori quali la domotica, il monitoraggio di cose e persone per motivi di sicurezza o di tracciabilita', il settore della mobilita', i servizi sociali in house, il telelavoro, la produzione locale di energie pulite, l'intelligence basata sulla consultazione del crowd...

Quanto di tutto questo potrebbe accadere nel 2011? Poco, anzi pochissimo. Ma se a fine anno andremo a fare shopping solo dopo un giro su "Street View" e nella vetrina degli e-shop, e troveremo online le informazioni dei cittadini che si sono gia' orientati nei recessi della burocrazia della PA e le hanno condivise, e ci regoleremo nei nostri spostamenti con i servizi di geolocalizzazione e car-pooling risparmiando cosi' qualche decina di euro a settimana, e le nostre aziende realizzeranno prodotti e servizi che terngono conto delle banche di open data nel frattempo liberati... avremo fatto tutti noi un piccolo passo avanti nella direzione di un grande balzo per l'umanita'. E non stiamo parlando della luna, ma della nostra terra.

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Gino Tocchetti e' fondatore del think tank non convenzionale "Ecosistema 2.0", che focalizza sulla convergenza tra ecosistemi virtuali (internet) e territoriali, realizzando un osservatorio delle iniziative emergenti, eventi di informazione e realizzando servizi sperimentali. E' anche titolare di un proprio studio di consulenza e servizi, focalizzato su progetti di e-business, innovazione tecnologica e di metodo, interim management. (Linkedin, Facebook)

lunedì 3 gennaio 2011

Giorgio Jannis - Social personal

Partendo da un'osservazione, quelle cose che noti mentre fai dei gesti. Come scambiarsi i dati personali al termine di una riunione di lavoro, o condividere documenti o dei giochi tra amici, in gruppo. 
Faticoso, macchinoso. Perché per farlo usiamo "macchine" vecchie - carta e penna! e la lista dei partecipanti con le mail scritte a mano - oppure cellulari o dispositivi elettronici dove immettere manualmente le informazioni, nomicognomi e numeri e indirizzi. 
Mentre credo dovrebbero essere molto più social, i gingilli connessi personali. Usate il bluetooth, il wifi, la rete telefonica, ma fate in modo che il mio cellulare al premere di un tasto invii a tutti quelli che voglio nel raggio di dieci metri i miei dati personali, quello che io deciderò di trasmettere e mettere in compartecipazione, foto indirizzo URL del blog e LinkedIn e socialcoso preferito. E i dati che ricevo dagli altri già sul mio dispositivo si legano ai miei e tra loro, creando la rete delle cerchie sociali, dandomene rappresentazione in una rubrica aumentata capace di contenere l'albero dei contatti, dove le foglie sono i profili oggidì coloratissimi di suggestioni e tracce, e al contempo in grado di mostrare il giardino tutto delle reti sociali in cui siamo coinvolti, le geografie relazionali, l'intersecarsi dei gruppi sociali di appartenenza, la condivisione dei gusti personali e le scie dei nostri lifestreaming.

Con la potenza di calcolo che la tecnologia informatica offre oggi alla statistica applicata, potrebbero poi venir fuori delle cose interessanti da tutti questi dati che riguardano le profilature degli umani. I comportamenti social del nostro abitare in Rete possono trovare visibilità e rappresentazione, si rende necessario inventare delle parole (o modificare vecchi significati) che siano adeguate al nuovo contesto, dove appaiono degli oggetti e degli atti che prima semplicemente non erano percepibili, un po' come quando era difficile parlare del comportamento delle particelle dei gas, senza aver ancora inventato il linguaggio della termodinamica.
Parlare oggi della Nuvola elettronica in cui abitiamo, dove nascono nuove interpretazioni della socialità, nuove possibilità di azione collettiva, nuovi riconoscimenti identitari di gruppi sociali che individuano sé stessi per affinità tematiche svincolate dalla distanza geografica. O che di converso in quanto rete nervosa dotata di organi di senso - display, sensori, luoghi di socialità iperlocale - ci permetta di percepire dimensioni territoriali prima invisibili, processi e flussi di persone e cose che girano intorno a noi in questo momento, geotaggate e
organizzate dentro narrazioni per render conto del senso dell'abitare, delle parole che pronunciamo vivendo qui e ora in questi territori fisici e digitali.

Esseri umani come router, che reindirizzano il pacchetto dati pertinente alla giusta rete sociale, e questo nostro costruire e scambiare informazione, opinione e conoscenza provvede a rimescolare continuamente il calderone della collettività, nelle cose pensate e nel modo di pensarle. 

Moltiplicare l'efficienza e l'efficacia delle situazioni sociali in presenza, questo sì alzerebbe la fiamma sotto il calderone, velocizzando i processi. Perché nei gruppi si condivide l'opinione, ci si confronta, vengono prese decisioni. Il capannello di persone che chiacchiera è da sempre un Luogo della Conoscenza, dove si formano e circolano i punti di vista sui fatti del mondo.
La fisicità dei corpi salda con più forza le parole ai contesti emozionali, crea sintonie e affettività extraverbali, su cui come umani ci appoggiamo per sostenere relazioni di lunga durata, dar vita a realtà sociali come i matrimoni e le imprese e i governi di cui già concepiamo l'estendersi nel tempo, negli anni a venire.
Scambiarsi il profilo della rubrica premendo un bottone, ma appunto condividere i lifestreaming, e anche moltiplicare gli strumenti di produzione e distribuzione delle informazioni, questo vorrei dai dispositi portatili. Poter registrare l'esperienza, aggiungere contesto ai messaggi, facilitare la collaborazione tra le persone presenti in quella situazione, poter mentre si parla lasciare traccia del dire, e poter tutti insieme al contempo intervenire su quella storia, "modificare il documento", disegnare in tanti sulla stessa lavagna, giocare tutti insieme a un videogioco in 3D e magari partecipare a attività civiche, aumentare la realtà del gruppo supportandola con appunto display e sensori, per potenziarla e cogliere della situazione interpersonale sfumature che altrimenti andrebbero perdute, o che non sarebbero nemmeno percepibili.

Ecco il 2011 cosa potrebbe portare: cellulari o comunque gingilli connessi migliori. Vogliamo tecnologia allo stato dell'arte, con dentro software sociali migliori, dispositivi che costino meno, tariffe di connettività molto più economiche: non si tratta mica di giocattoli futili, qui stiam parlando del progresso della specie umana, della qualità dell'abitare in tutti i luoghi fisici o digitali, degli strumenti con cui tessiamo la socialità, poffarbacco.



Giorgio Jannis è di Udine, in Friuli, in Europa. E' un cittadino digitale, e gli piace occuparsi professionalmente proprio di cittadinanza digitale, di socialità in Rete, di community civiche, progettando reti territoriali aumentate e Luoghi conversazionali online. Presidente dell'Associazione culturale NuoviAbitanti, scrive piccoli saggi qua e là, qua e là conciona e tiene docenze. Trovi tutto partendo da www.jannis.it 

Massimo Melica - In the Beginning was the Command Line

Nel 1999 Neal Stephenson, scrittore di libri di fantascienza ed esperto di tecnologie, ha pubblicato negli Stati Uniti il saggio dal titolo “In the Beginning was the Command Line”, un libro interessante, purtroppo mai tradotto in Italia, nel quale ha riassunto la storia dell’informatica così detta per tutti.

Il periodo focalizzato da Stephenson è quello degli anni settanta, periodo in cui tali Steve Jobs e Steve Wozniak fondarono Apple con l’intento di produrre e vendere computer alle famiglie mentre, Bill Gates e Paul Allen, si spinsero anche più in là, con l’idea di creare Microsoft per vendere "sistemi operativi".

In quegli anni assistiamo ad azioni pioneristiche in cui creatività e innovazione sono mirate – più o meno consapevolmente – sia a gestire qualcosa di intangibile ciò una serie di “zero e uno” scritti su un supporto magnetico sia a commercializzare hardware e software: elementi alla base della digital economy.

Questo è lo scenario, non più vecchio di quarant’anni, appare primordiale agli occhi del fruitore delle odierne applicazioni multifunzionali rese attraverso un device dalle dimensioni ridotte e dal peso esiguo.

Lo spunto di Stephenson mi aiuta a riflettere, per analogismo, su ciò che oggi costituisce l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione e sulle ripercussioni sociali che delineeranno gli scenari futuri.

La Storia dimostra che i diritti si evolvono regolando le condotte sociali, l’economie si modificano sulla base dei mercati, gli Uomini mutano le comunicazioni innescando nuove strategie.

A questo punto Internet, se pur con la sua imprevedibilità, può essere inquadrato come una tecnologia convergente, neutrale, democratica o meglio uno strumento con il quale, attraverso protocolli e standard condivisi, si possono enucleare servizi pubblici e privati come: social network, televisione, cinema, produttività e informazione o semplicemente veicolare qualunque dato di interesse tra due soggetti.

La governance delle attività politiche che porteranno a regolare l’accesso alla Rete e le condotte in Internet, quindi i diritti sottesi, è la sfida che caratterizzerà i prossimi anni nonché la tavolozza con la quale si coloreranno i futuri “scenari digitali”.

La libertà di accesso alla Rete, le libertà e i doveri di cosa o non cosa veicolare non possono essere mediati dal diritto preesistente, occorre analizzare e studiare nuovi dettami normativi che siano – auspicabilmente - condivisi tra gli Stati democratici.

In questo processo siamo tutti chiamati a collaborare, prestando particolare attenzione affinchè la Rete si sviluppi mantenendo quello spirito partecipativo e di condivisione della conoscenza racchiuso nella sua genesi.

Personalmente, forse perché influenzato dall’esperienza professionale, credo che sia demagogico ritenere che Internet debba essere un luogo esente da qualsiasi regolamentazione in quanto non consideriamo l’assunto che: “internet è per tutti, ma non tutti sono per internet” e pertanto occorre, in assenza di un uso responsabile e consapevole, arginare fenomeni criminali.

Il corretto bilanciamento tra libertà e doveri in Internet è la sfida che deve essere necessariamente vinta al fine di garantire la libertà e il futuro culturale delle prossime generazioni, ricordando che il moderno Big Bang “fu, in principio,una linea di comando” con pochi bit ma tanta creatività e innovazione.

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Massimo Melica è avvocato presso lo studio legale “Melica Scandelin & Partners”. Docente di “informatica giuridica” scrive per “ADV Strategie di Comunicazione” e “Pubblicità Italia” occupandosi di diritto e informazione. E’ autore del libro: “Esperienze di diritto applicato alle nuove tecnologie”

domenica 2 gennaio 2011

Davide Bennato - Le relazioni sociali come metadati dei social network

!80325 Il 2010 è stato molto interessante dal punto di vista dei social media.
I social network hanno rafforzato la propria posizione, l’integrazione col mobile si è quasi completamente realizzata, la fruizione di contenuti tramite app di iPhone e iPad dimostra che un nuovo format editoriale è possibile (con buona pace di chi sanciva la morte di internet).

Una domanda legittima: quali sono le conseguenze sul modo con cui ci relazioniamo con gli altri?
Secondo me il 2011 potrà essere rubricato con lo slogan: le relazioni sociali sono i metadati del futuro.

Provo a spiegare meglio il mio punto di vista.

La creazione, la gestione e – perfino – la manutenzione dei rapporti sociali è stata profondamente modificata dall’uso quotidiano dei social network. Affermazione banale che è sotto gli occhi di tutti.
Quello che è ancora più interessante – per un sociologo – è che le relazioni sociali in questi ambienti assumono la forma di un oggetto mediale (o contenuti digitali). Esprimere la vicinanza con una persona attraverso un video, sottolineare la voglia di mantenere un legame (debole) con un hashtag (il famoso #FF del venerdì su Twitter), esprimere il proprio disappunto con una immagine, consigliare ad un collega un link interessante: sono tutte forme che hanno contributo a mediatizzare il rapporto con gli altri. In questo modo la forma che assume la relazionalità nei social media è una sequenza di contenuti multimediali. Non è un caso che video come The Digital Story of the Nativity o A Life on Facebook, raccontano delle storie usando i topoi comunicativi a cui ci hanno abituati i servizi del web 2.0.

A questo punto però nel nostro rapporto con gli altri, non useremo solo la cerchia delle nostre conoscenze per far entrare una persona nella nostra rete di contatti, ma prenderemo spunto anche dall’universo culturale che questa persona condivide con noi. Se un servizio ci suggerisce di diventare contatto di una persona a partire dal numero di “amici” che con essa condividiamo, progressivamente anche libri, film, citazioni preferite, orientamento politico e sessuale diventeranno strumenti attraverso cui creare relazioni digitali.
Similia cum similibus, ricordano gli antichi proverbi.
La cosa interessante è che le basi su cui costruiremo un contatto sociale – di qualunque natura esso sia (collega, amico, amante, conoscente) – saranno sempre più simboliche e sempre meno relazionali. Questo è un paradosso perché siamo sempre stati abituati al contrario: prima si comincia una conversazione generica con uno sconosciuto su un treno, poi si notano punti in comune e solo dopo ci si scambia i contatti per mantenere un rapporto. Nei social network potrebbe avvenire esattamente l’opposto: prima si notano i punti in comune – letture, passioni, interessi – e poi si decide di instaurare un rapporto.

Se questa dinamica dovesse accentuarsi, le tracce che le persone lasciano attraverso i social network, diventeranno delle vere e proprie meta-informazioni. Se io leggo i libri di Wu Ming, ascolto Elio e le storie tese, sono interessato ai problemi dell’ambiente e condivido video di critica al governo cinese, dirò su di me molto di più di quanto potrei fare in una conversazione. Non è nulla di nuovo, è la stessa esperienza che si prova quando ospiti di qualcuno conosciuto da poco ci si fa un’idea del padrone di casa a partire dalla sua collezione di DVD. Quello che cambia è la quantità di informazioni che è possibile raccogliere, un numero tale che diventa sempre più facile per un software – o per una persona – farsi un’idea dettagliata dell’individuo/consumatore di contenuti.

Il passo successivo di questa strategia, potrebbe diventare il social tagging dei nostri contatti. Ovvero uno spazio riservato dei social network in cui è possibile inserire informazioni aggiuntive sui nostri contatti, che si vengono a sommare ai comportamenti di consumo che possiamo desumere dal wall dei nostri amici. Infatti, informazioni del tipo in che occasione abbiamo conosciuto la persona, chi è stato a presentarci, di cosa abbiamo discusso, che impressione ci ha fatto, potrebbero diventare meta-informazioni sulla cui base costruire una rete sociale reputazionale, ovvero una rete in cui i legami sono definiti da metriche relative all’empatia e all’emotività, ma non per questo meno rilevanti. Uno spazio a noi riservato, ma trasparente alla piattaforma che potrebbe perciò decidere di aggiungere a queste anche informazioni già accessibili, come consumi e interessi, per segmentare in maniera molto più efficace i profili presenti sul web.

Non è lontano il momento in cui la piattaforma ci chiederà il rating di caratteristiche come la simpatia, l’affidabilità, la curiosità, il sex appeal di una persona attraverso un sistema di like o stelline o faccine o quant'altro. In questo modo però daremo alla piattaforma un potere immenso: conoscere le caratteristiche sociali e relazionali di una persona attraverso processi di intelligenza collettiva.

La domanda è: vogliamo davvero noi che il software conosca tutto questo di noi?
Bisogna pensare bene alla risposta che diamo perché, parafrasando, potremmo dire che chi di tag ferisce, di tag perisce.

Davide Bennato insegna Sociologia dei Media Digitali all'Università di Catania. I suoi interessi di ricerca sono relativi all'uso relazionale dei social media e al consumo di contenuti digitali. Sempre su questi temi è Direttore di Ricerca presso la Fondazione Luigi Einaudi di Roma. E' inoltre autore del blog tecnoetica.